venerdì 18 gennaio 2008

Lust, caution

...amore, amore...il braciere raggiante mi allontana dal mondo, povera carne senile che si allontana dall'annunciata morte...vorrei ancora invadere il mio maggior difetto...





Nella Shangai degli anni '40, una giovane si avvicina per caso al teatro. L'arte, nel periodo comunista, la introduce nella politica. Attrice e patriotta per caso, vittima e carnefice di un sistema in cui le scelte non sono decisioni ma obblighi o fattori contingenti.
Il film è diviso in due grandi contenitori: il primo, lungo e noioso, in cui si cade nel dispiacere filmico della noia. Costituisce l'unità maggiore in quanto avvia la sinossi, dopo il flasback d'introduzione, e termina con la fuga dalla casa al mare. Le scene sono lente e il montaggio è ellittico.
Interessante è la presentazione che il regista dà ai giovani militanti: li etichetta come inutili borghesi che filosofegiano mentre i connazionali sono al fronte. Il rito di iniziazione che li intoduce nella brutalità della guerra è la deflorazione della protagonista, unico orrore della pellicola.
Il secondo nucleo ha inizio nel 1941, e termina con il tempo del racconto. Kuang incontra nuovamente la "compagna", e le delega tutto il fardello del compito mai portato a termine: l'omicidio del nemico. Lei accetta, per gioco e per rivincita, avvicinandosi alla pericolosa preda.
Wang Jazhi rimane così intrappolata, nella gerarchia del partito e, nel gioco di passione che sfocierà nella lussuria più totale.Il dovere la porterà alla ricerca di un piacere sublime. Le scene di sesso, scene madri del film, sono pittoriche ma cinetiche: illustrano in movimento il kamasutra.
La macchina da presa sigla il percorso interiore dei personaggi, tramite carrellate e panoramiche che si fondono nel montaggio sublime, delicato, dove la colonna sonora è punto di dissolvenza.
I cambi di scena, in bianco e nero, fluiscono in eleganti zoom e primi piani mentre le dissolvenze incrociate sono torbide, e si affidano alla cromaticità.
Gli attori, bravissimi, non favoriscono mai l'identificazione secondaria, anche durante le soggettive o gli sguardi in macchina.
La ricostruzione storica (scenografie e costumi) è meticolosa, girata esclusivamente in interni. Un importante parentesi semiotica è data dall'oggetto fisico dello specchio, simbolo della perfetta esteticità dei protagonisti, rappresentanza del canone massimo orientale. Gli attori allo specchio come doppio di bravura e bellezza. Ma lo specchio è anche la rappresentanza della biforcazione pre-atto sessuale: pensiero e primitività, come in "Eyes Wide Shut": l'unica cosa che si puo' fare è scopare.
Le musiche sono il punto di forza dell'opera, il montaggio polifonico è esemplare nell'assoluta permeabilità delle dimensioni in, off e over. La sfera in accoglie i gemiti del godere e della morte, la sfera off i tagli temporali e l'over è il motivetto malinconico che unisce inizio e fine del film..
Il tecnicismo è perfetto, ma rimane a se stante senza l'appoggio di una sceneggiatura adeguata. I discorsi peccano di grottesco, non hanno un climax ascendente anzi sfiorano il lagnoso.
Terzo leone d'oro consecutivo ad un lavoro orientale, e secondo per Ang Lee, il film ha diviso la giuria a Venezia. E' stato considerato degno del premio in quanto scabroso ma posato, conferma del bigottismo cattolico italiano.
Nulla è lasciato al caso, tranne il sentimento che vive nella sessualità buia che cerca luce.
Da vedere perchè, i politica e in amore, il gioco non vale la candela.
Nota ****

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bella sacchì..meglio un film di vanzina!