giovedì 27 settembre 2007

Piano, solo


....how far you can fly....


Tratto dal libro di Veltroni, e sapientemente portato sugli schermi proprio nel periodo pre - primarie, "Piano, solo" narra la vita di Luca Flores, jazzista italiano.

Il protagonista viene presentato mentre suona il piano e, dopo, mentre gioca in una bianca spiaggia africana con i suoi fratelli. Il clima è giocoso, ma non troppo, i bimbi sono osservati da una madre poco serena ma affettuosa. Nella scena seguente la madre, in un gioco di sguardi con Luca, perde il controllo della macchina e muore. Muore perchè guardava il figlio allo specchietto. Inizia il tormento del piccolo, incapace di perdonarsi la presunta colpa. Da lì una vita vissuta per il piano, identificato con colei che non c'è più. Il film è manchevole in quanto gli squilibri psicologici del protagonista sono riferiti esclusivamente a quest'unico episodio, tralasciando sullo sfondo il periodo della prima infanzia e tutti i successivi eventi quali l'aborto indotto, la frammentazione della famiglia, la perdita improvvisa di un collega caro. La follia è palese allo spettatore quando Luca crede di aver ucciso Chat Beker con le maledette scale in mi minore. A seguire il peggioramento: un tragico ritorno in kenia, un tentativo di suicidio, l'autolesionismo, l'elettroshock, il suicidio.

Ottime le interpretazioni di Rossi Stuart, che dà credibilità e non facilita nè l'immedesimazione nè l'estraneità, e della Ceccarelli, nevrotica senza eccessi. La Coltellesi, invece, è al limite tra la recitazione casalinga e la forzata espressività.
La musica è la protagonista dell'opera, le uniche soggettive sono quelle del pianoforte. La colonna sonora è classica, jazz, diegetica, extradiegetica, over e dà forma di valore al film stesso tramite un montaggio sonoro espressivo e morbido.

Ottimo il finale di questa biografia, elegante la scelta di visionare i filmini personali della famiglia Flores, che appare, come nelle prime scene, sulle rive del mare africano. Film-realtà, film nel film, per non far cadere lo spettatore nelle trappole della spettacolarizzazione, per riportarlo al dato di realtà: la non fiction.

Da vedere per non vivere il dispiacere filmico dell'indifferenza.

Nota **

Nessun commento: